Da qualunque punto la si guardi, Venezia lascia sempre di stucco. Con la sua sfilza di ponti, ben 438, la città sembra costruita apposta per farsi fotografare. Dai più famosi, come il Ponte di Rialto e quello dei Sospiri, ai meno “bazzicati” per il selfie di rito, ciascuno offre una vista diversa dagli altri. Impossibile unire le tessere e abbracciarne in un solo colpo d’occhio tutta la bellezza: un gigantesco mosaico fluttuante, maestoso ma anche fragile, che si specchia nelle acque dei suoi canali da 1500 anni, guadagnandosi il titolo di vera città resiliente. Finite le Crociate, si sa che la “tosa” (“fanciulla” in dialetto veneziano) inizia a crescere. E non sembra mai sazia. Riempie la laguna di navi indistruttibili, cariche di spezie e di seta. Si prende Bisanzio, l’Adriatico, il Mediterraneo; fonda colonie e accumula ricchezza. Diventa la città portuale più importante del mondo, sotto lo sguardo compiaciuto del Doge. Ma Venezia è anche una sopravvissuta: con la grazia e la forza di un’etoile sulle punte, resiste nel tempo a invasioni, inondazioni e, non paga, anche al fuoco. Quasi da neonata, costringe Carlo Magno a ritirare le sue navi; uscita dall’”età dell’oro”, affronta gli Ottomani, la peste, Napoleone, gli Austriaci. Con il cuore in cenere, ricostruisce se stessa dopo un terribile incendio, molto tempo prima che le fiamme del 1836 divorino il Teatro La Fenice, riportato in tempo record al suo antico splendore.
Chi ci mette piede per la prima volta, che sia col GPS o la vecchia cara brochure, si muove subito verso San Marco, attratto dalla piazza galleggiante più antica del mondo.
Sono 25 milioni i visitatori che la attraversano ogni anno: 180 metri di lunghezza portano fino alla Basilica, luccicante nel cielo terso, vestita di affreschi e mosaici dorati. Poi l’obiettivo si sposta al Campanile, che sfiora possente i 100 metri di altezza.
Al Sestiere (cioè al quartiere) di San Marco ci si arriva in barca o in gondola, navigando lungo il Canal Grande, una grande arteria blu che taglia in due la città per 4 km. Oppure via terra, con un bel saliscendi “per ponti e per Calli”, le stradine che disegnano tutto il centro, sempre vivaci e super affollate.
Ma il 2020 ha rovesciato ogni cliché, mostrandoci una Venezia quasi deserta, avvolta da un’atmosfera a dir poco surreale: un dedalo intricato di vicoli e scalette, saturo soltanto di aneddoti curiosi.
A Venezia, si sa, non esistono “piazze”, se non quella di San Marco, e pochissime sono le “vie”, le strade più moderne; le targhe e le chiacchiere rubate ai passanti ci parlano perlopiù di “calli” e di “campi”, diversi tra loro per grandezza e funzione.
Le “calli” possono essere “larghe”, più ampie, oppure “callette” e “calleselle”, quindi molto strette; può anche capitare di camminare in una “ruga” o “rughetta”, cioè in una stradina, oppure in un “rio terà”, cioè su un antico canale poi interrato.
Molto facile ritrovarsi in una delle tante “piscine”, anche se con i piedi asciutti: piccoli bacini che un tempo si allagavano con l’alta marea, e da cui, una volta defluita l’acqua, si potevano raccogliere i pesci rimasti imprigionati. Oppure in un “campo”, o nel più piccolo “campiello”, i cui nomi non lasciano molti dubbi: slarghi più o meno ampi ma comunque abbastanza spaziosi per coltivarci in passato frutta e verdura o farci pascolare gli animali; o seppellirci i morti, a seconda delle necessità.
Completamente lastricate erano invece le “salizade”, vicoli pavimentati in selce, detta appunto “salizo”. Quasi scontato sbagliare direzione e finire prima o poi in un “ramo”, la traversa di una calle senza uscita o con lo sbocco in un canale.
In quello che sembra un labirinto un po’ caotico, esiste invece un certo rigore. Le calli veneziane non superano mai gli 8 metri di larghezza e nascono perché in passato tutto il territorio cittadino era di proprietà privata; ma quando la Repubblica concedeva il nulla osta per la costruzione di nuovi edifici, obbligava i richiedenti a destinare un pezzetto del terreno a passaggio pubblico che, per ovvie ragioni di interesse, veniva limitato al minimo indispensabile. Come dimostra, nel Sestiere di Cannaregio, Calle Varisco, la più stretta di Venezia, larga soltanto 53 cm. E i nomi? A volte leggendoli si risale alle famiglie nobili che abitavano in zona, come “Calle Benzoni”, “Calle Cavalli”, “Calle Da Ponte”; oppure si scoprono eventi di grande peso per la città ma non sempre ricordati dalla storia ufficiale, come “Calle dei Assassini”, così chiamata perché scenario di numerosi crimini, grazie ai suoi anfratti che la rendevano perfetta per gli agguati. Molto spesso però le calli ricordano le attività presenti sulle varie stradine, offrendo un simpatico excursus sulla vita economica della città; ed ecco Calle dei Fabbri, Calle del Forno, Calle del Tagiapiera, Calle del Spezier. Decisamente curiosa “Calle de la Malvasia”, dal nome della bottega in cui si vendevano i vini “navigati”, cioè importati via mare. Vini che arrivano soprattutto da Malvasia, città della Morea, cioè del Peloponneso, regione anch’essa conquistata dalla Serenissima.
Venezia si svela come un’anima delicata, ma capace di combattere
Che sia vuota o piena di gente, a chi la sa guardare Venezia si svela come un’anima delicata, ma capace di combattere. E lo fa sempre con un tocco di classe. In questo, anche il resto dell’Italia le assomiglia un po’; e siamo certe, oggi come ieri, che entrambe riusciranno a rimettersi in piedi.