La Torino di Cesare Pavese
Città dell’automobile, del cinema, del calcio, del cioccolato.. Tanti gli appellativi associati da sempre alla prima Capitale d’Italia. Ma Torino è stata, e rimane, soprattutto la città del libro. Scrittori importanti qui ci sono nati, ci hanno vissuto o l’hanno visitata, attratti dal suo fascino magnetico; a volte elegante, a volte decadente, ma sempre fedele a se stessa, nel suo essere austera, enigmatica e imprevedibile. A lasciare qui, tra tutti, la firma più profonda, lui, l’“operaio della penna”: Cesare Pavese. Poeta, narratore, traduttore, saggista, editore: in Pavese si concentra un panorama culturale vastissimo, dove si fondono tradizione e modernità, classicità e sperimentazione. Nato a Santo Stefano Belbo (CN), su quelle Langhe che lui stesso rese immortali nei suoi testi, trascorse a Torino tutta la vita, tra studio, lavoro, affetti e scrittura. E a Torino scelse di morire, togliendosi la vita a 42 anni, giunto all’apice di una carriera straordinaria, eppure per lui ridottasi a un “trionfo senza carne e senza sangue”. L’eterno conflitto tra il Pavese-uomo e il Pavese-scrittore resta irrisolto; Pavese è un Ulisse che cerca invano la sua Itaca, in un viaggio interiore alla scoperta di se stesso e del proprio destino, tra i ricordi dell’infanzia e il ritorno alle proprie origini. Un percorso dall’epilogo tragico, ma che si svela come un inno alla vita e al potere salvifico della scrittura, unica procacciatrice di eternità.
Abbiamo avuto l’onore di intervistare Pierluigi Vaccaneo, Direttore della Fondazione Cesare Pavese, passeggiando insieme a lui proprio tra i luoghi pavesiani della Torino di oggi.
"Mia amante, non madre né sorella” così Pavese definiva la sua città. Come possiamo interpretare questa affermazione?
Cesare Pavese è “di fatto” un torinese; qui trascorre l’infanzia con la sua famiglia, che solo per la villeggiatura estiva si sposta nelle Langhe, nella residenza di campagna. Qui a Torino frequenta gli studi, sia il Liceo che l’Università, allacciando le prime amicizie che diventeranno “quelle di una vita”. Qui fa carriera nel settore dell’editoria, in un’Einaudi ancora neonata che si trasformerà nella sua seconda casa. Eppure, nonostante questo, la città non gli è mai davvero appartenuta. Pavese la sua identità la ricerca nel paese, o meglio, sulle colline, dove ha smania di tornare, ogni volta che gli è possibile; quegli stessi luoghi in cui incontrerà e plasmerà i suoi personaggi, confrontandoli con il mito.
Torino è stato il luogo dello studio e della carriera: che tipo di legame c’è tra Pavese e la città dal punto di vista intellettuale?
Torino per Pavese è il luogo del lavoro, dell’impegno professionale.. e del divertimento. Della vita mondana, dove “si profitta di donne”, per dirla a suo modo. La Torino di Pavese non era certo la Torino di oggi; è evidente che apparisse agli occhi dello scrittore come una città piuttosto decadente, ma al contempo una nuova fonte di lavoro. È la Torino della rivoluzione industriale, che porta un’illusione di ricchezza ma anche un impoverimento dei valori. Per lo scrittore la città è un ambiente alienante, dove l’individuo non riesce a riconoscersi e finisce con il sentirsi profondamente solo. Questo emerge bene dai suoi romanzi urbani; basti pensare a “Tra donne sole” e a “Il diavolo sulle colline” dove la città è “assenza”, mentre il paese è “presenza”. Eppure, anche Pavese non poteva fare a meno di lei.
È facile capire che, pur con le sue contraddizioni, Torino potesse offrire ai giovani dell’epoca molte più occasioni di divertimento e socializzazione rispetto a un piccolo paese di campagna.. Quali erano i luoghi preferiti da Pavese in questo senso?
Certo, anche l’infaticabile e apparentemente “serioso” Pavese amava ritagliarsi un po’ di tempo per lo svago. Di giorno la città era il luogo del lavoro, ma di notte la si viveva in modo diverso, come un labirinto di segreti tutto da esplorare. Pavese era solito ritrovarsi al bar con gli amici e i colleghi, in particolare al Caffè Fiorio, qui in Via Po, e fare con loro lunghe passeggiate in collina. Amava il nuoto, andare in barca e frequentava il Circolo dei Canottieri, dove si organizzavano le tradizionali vogate domenicali sul Po. Da vero piemontese che si rispetti, anche Pavese apprezzava la cucina locale; bazzicava le osterie, all’epoca soprannominate “Far West”, ed era un cliente abituale dello storico Ristorante “Le tre galline”, ancora operativo qui in città. Tra le sue passioni, c’era anche quella del cinema; meta fissa delle serate cittadine era il Cinema Massimo, qui vicino alla Mole Antonelliana, dove si proiettavano i famosi film americani.
Torino per Pavese era soprattutto Casa Einaudi. Che differenza c’è tra l’Einaudi di ieri e quella di oggi?
L’Einaudi all’epoca di Pavese rappresentava un mondo affascinante, la roccaforte dell’intellettualità e della libertà di pensiero. I fondatori, fin dalla sua nascita, avevano impostato una linea di azione precisa e assolutamente innovativa. Obiettivo: portare una ventata di rinnovamento sul mercato editoriale. L’esperienza in Einaudi per Pavese è stata una grande avventura, sia intellettuale che umana; lì ritrova i suoi ex compagni di liceo, quelli della Confraternita del Monti, il professore antifascista, che fu per loro sì un docente, ma soprattutto maestro di vita e amico. Lì colleziona successi e “arrabbiature”; lì condivide ideali, progetti e sacrifici. Oggi l’Einaudi fa parte di un grande gruppo editoriale, che può contare su una strategia di marketing molto più forte; ma il legame con Pavese e con la sua eredità continua ad essere fondamentale.
A proposito di libri, stiamo giusto sfogliando ora la tua ultima pubblicazione: “A Torino con Cesare Pavese. Un arcipelago interiore”. Puoi dirci qualcosa di più?
Il libro è il racconto di un viaggio “omerico” che tocca cinque isole e che assume, allo stesso tempo, la dimensione di un percorso interiore. Filo conduttore è il desiderio di vita, quella vita che Pavese ha sempre cercato di conoscere, sperimentare, comprendere. Tutta la sua opera non è che una profonda riflessione sulla vita, un omaggio ad essa, nel costante tentativo di decifrarne il significato. Per questo vi invito a leggere Pavese con occhi nuovi, liberi, facendovi guidare solo dalle sue parole.
Pavese ci ha lasciato un patrimonio enorme, fatto di scrittura ed emozioni senza tempo. E non c’è modo migliore per scoprirlo se non quello di visitare i suoi luoghi; quelli di Torino, la città pavesiana per eccellenza, e quelli delle Langhe, tra le colline e i paesaggi de “La luna e i falò”.
Venite a scoprirli da vicino, a cominciare dalla Fondazione Cesare Pavese: www.fondazionecesarepavese.it
Pierluigi Vaccaneo
Direttore Fondazione Cesare Pavese
INDIRIZZO:
Piazza Confraternita, 1
12058 Santo Stefano Belbo (CN)